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EDUCAZIONE SPARTANA

8 agosto 2009
Antichità
Il primo prolungamento dell’educazione cavalleresca di stampo omerico è testimoniato da Sparta. Il suo secolo d’oro, il VII a.C., momento in cui raggiunge l’άκμή (akmè – apice) in diversi ambiti, permette alla città della Laconia di svilupparsi e diventare una grande potenza.

Il primo prolungamento dell’educazione cavalleresca di stampo omerico è testimoniato da Sparta. Il suo secolo d’oro, il VII a.C., momento in cui raggiunge l’άκμή (akmè – apice) in diversi ambiti, permette alla città della Laconia di svilupparsi e diventare una grande potenza.
La cultura arcaica spartana è accessibile grazie ai frammenti dei grandi lirici Tirteo e Alcmane, nonché i risultati degli scavi effettuati presso il santuario di Artemide Orthia dalla scuola Inglese di Atene a inizio Novecento.
Nell’epoca più antica, Sparta si rivela come una polis non solo severa e barbara, ma un fiorente centro di grande cultura.
Via via viene ad assumere l’assetto di una città molto conservatrice nei suoi usi e costumi, incarnando un vero e proprio ideale totalitario: quello della polis come fulcro per tutti i cittadini; è la città che li fa diventare ciò che sono, che li forma.
« Τεθνάμαι γρ καλν ν προμάχοισι πεσόντα
νδρ' γαθόν, περ πατρίδι μαρνάμενον.  »
Trad. “E’ bello morire cadendo in prima fila, da prode che combatte per la patria”[1].
Così canta Tirteo , il miglior interprete di questa nuova etica.
Sparta porta con sé una rivoluzione morale, una concezione di άρετή (aretè, virtù), di spiritualità che inizia a discostarsi da quella agonistica di Omero.
Questo ideale subordina la persona umana alla collettività politica: l’educazione lacedemonica non si basa sulla scelta e selezione di eroi, ma crea una città intera di soldati pronti a consacrarsi per la patria.
Di fondamentale importanza è anche l’aspetto sportivo e musicale dell’impronta pedagogica: lo sport non è esclusivo appannaggio degli uomini, a Sparta l’atletismo femminile è diffuso. La musica è posta al centro della cultura e fonde diversi aspetti: la danza legata alla ginnastica e il canto che fa da veicolo alla poesia, sola forma arcaica della letteratura.
La vita artistica e sportiva spartana s’incentra su manifestazioni collettive, autentiche istituzioni dello Stato: le grandi feste religiose.
Si parte infatti dai πομπαι (pompai), le processioni solenni, fino alle danze sorprendenti come la βαρυλλικά (barullikà) in onore di Artemide.
Queste atmosfere fatte di grazia, poesia e festosità si lasciano ancora gustare nei frammenti conservati del Partheneion di Alcmane.
L’educazione spartana, definita dal termine tecnico άγωγή (agoghé), conserva lo stesso spirito di un addestramento dell’oplita (soldato spartano). Essere educato secondo l’άγωγή significa poter esercitare i diritti civili; questa viene infatti organizzata in funzione dei bisogni dello Stato.
La severissima legge s’interessa al fanciullo prima ancora che nasca: c’è subito tutta una politica di eugenia.
Alla nascita il neonato è presentato nella λέσχη (lesché), la commissione di anziani che valuta il futuro cittadino: non viene accettato se non bello, ben formato e robusto; i gracili e i deformi vengono condannati ad essere gettati nelle άποθέται (apothetai), anfratti rocciosi e scoscesi.
Fino a sette anni lo Stato delega i suoi poteri alla famiglia, parlando più propriamente di allevamento άνατροφή (anatrophé). Molto quotato era il mestiere di nutrice.
A sette anni il giovane passa sotto intera tutela statale. La dura educazione che va da quell’età fino ai vent’anni è posta sotto autorità del magistrato, il παιδόνομος (paidonomos), un commissario dell’educazione. Si inizia con un irreggimento in formazioni con categorie gerarchizzate.
Questi tredici anni sono raggruppati in tre cicli:
a) dall’ottavo all’undicesimo anno vi sono quattro anni in qualità di fanciullo:
8°   ρωβίδας (robidas);
9°   promikkizόmenoς (promikkizomenos);
10° mikkizόmenoς (mikkizomenos);
11° trόpaiς; (tropais);
b) dal dodicesimo al quindicesimo altri quattro anni di ragazzo:
 
12° pratopάmpaiς (pratopampais);
13° atropάmpaiς (atropampais);
14° meklleίrηn (meklleirén);
15° είρήν (eirén);
 
Infine dal sedicesimo al ventesimo cinque anni di efebia (είρήν - eirén); e l’ultimo anno si raggiunge lo status di πρωτείρας (proteiras - capo ireno).
 
A circa vent’anni l’uomo entra in altre formazioni di uomini.
L’educazione statale è dunque collettiva, strappando il fanciullo alla famiglia per farlo vivere in una comunità di giovani. Ogni sforzo è concentrato alla preparazione militare: ciò significa che l’educazione fisica occupa il primo posto e ad essa si aggiunge un tirocinio diretto al mestiere militare.
Questo indottrinamento e crescita da soldato dava uguale importanza tanto alla preparazione morale che a quella tecnica. Tutto viene sacrificato alla salvezza e all’interesse della comunità nazionale, implicando patriottismo e sacrificio verso lo Stato.
La virtù fondamentale e quasi unica del cittadino spartano è l’obbedienza; il fanciullo deve obbedienza alle gerarchie che stanno sopra di lui, dal βουαγός (buagos) al paidonomo, con accanto dei “bastonatori”, i μαστιγόφοροι (mastigoforoi), pronti a far eseguire le eventuali sentenze.
Devozione e obbedienza generano un clima di austerità.
L’educatore spartano cerca di sviluppare nel fanciullo la resistenza al dolore; la sua virilità e la sua combattività sono create abituandolo ai colpi.
Le ragazze ricevevano una formazione non meno regolamentata. La donna deve possedere bellezza senza sconfinare nell’eccessiva grazia. Lo scopo è quello di formare una figura femminile con carattere, spirito, di dedizione verso l’uomo, puntando alla eliminazione di complicazioni sentimentali e di ‘complessi’. La sua rigida educazione adolescenziale è basata su musica, ginnastica, danza e canto. Essa dovrà diventare essenzialmente una madre prolifica di figli vigorosi.
 
Questa tipologia viene osannata, come già citato da lirici quali Alcmane e Tirteo, ma profondamente criticata, ad esempio, da Aristotele, che la ritiene una macchina per la produzione di manovali da guerra, feroci e in grado di superare solo i più inesperti, quindi non troppo produttiva neppure in quel senso. Vi contesta inoltre la mancanza dell’ideale democratico.
 
AGGIUNTE RICHIESTE DALL'UTENZA:

 

 

Per Aristotele l'uomo per realizzarsi concretamente ha bisogno degli altri, cioè di una società. L'individuo acculturato è più aperto, o dovrebbe esserlo.

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BIBLIOGRAFIA:
 
S. Quasimodo, Lirici greci; con un saggio di Luciano Anceschi, Milano, Edizioni di Corrente, 1940;
 
W. Jaeger, Paideia : la formazione dell'uomo greco, La nuova Italia, Firenze, 1936;
 
J. T. Hooker, Gli spartani, trad. di Valeria Camporesi. Bompiani, Milano, 1984;
 
W.G. Forrest, Storia di Sparta : 950-192 a. C., Laterza, Bari, 1970;


[1] S. Quasimodo, Lirici greci; con un saggio di Luciano Anceschi, Milano, Edizioni di Corrente, 1940; (sezione dei frammenti di Tirteo).
Propone che lo Stato cominci ad occuparsi dell'educazione dei bambini a sette anni.
Da’ ampio rilievo sia al gioco, che alla musica, ad un ambiente umano che circondi l’educando.
Si pronuncia contro l'abbruttimento del fisico e quindi contro il lavoro minorile, contro pratiche assurde come l'esagerato esercizio fisico degli spartani e l’eccessiva pratica militare, che andrebbe invece sapientemente corroborata con del lavoro intellettuale e l’apprendimento delle principali branche della conoscenza, affinché la persona possa da subito possedere uno sviluppo più equilibrato.
Il filosofo punta più verso la riflessione sull’esperienza concreta.
Difende, rispetto alla rigidità dei Lacedemoni, l’otium, l’ozio inteso però come uno sfruttamento del tempo libero per studiare, conoscere, dedicare tempo alla cultura per acquisire una certa emancipazione ed allontanarsi dall’oscurantismo.
 
Per ulteriori riferimenti (Aristotele, Politica, I253a, 2-8)
 
Contro educazione spartana si scaglia anche il retore greco Isocrate nel Panatenaico (di cui cito solo alcune parti):
“Gli Spartani ogni giorno mandano fuori dagli alloggiamenti i fanciulli, con chi essi vogliano, a parole per la caccia, nei fatti per rapina di quelli che abitano nei campi; durante questa incursione accade che quelli che sono stati catturati pagano un’imposta e ricevono bastonate, invece quelli che hanno arrecato maggiormente il danno e che sono stati in grado di restare nascosti sono tenuti in considerazione tra i ragazzi più degli altri, e quando diventano uomini, qualora persistano nelle loro abitudini in cui si esercitarono sin da ragazzi, subito accedono alle più alte cariche.
Come allora si può  non ritenere stolti coloro che lodano questi ragazzi tanto lontani dalle leggi comuni e che non conoscono né le stesse né quelle presso i Greci e presso i barbari?”
 
 
Infine aggiungo un’altra buona fonte per approfondire la conoscenza dell’educazione spartana: la vita di Licurgo, tratta da Le Vite parallele di Plutarco.
 
Cito anche qui alcune parti:
 
 
Dunque il figlio nasceva; ma il padre non era padrone di allevarlo, bensì lo prendeva e portava in un edificio pubblico, chiamato lésche, ove gli anziani della tribù, riuniti in consesso, esaminavano accuratamente il bambino. Se lo trovavano di costituzione sana e robusta, lo facevano allevare e assegnavano per il suo mantenimento uno dei novemila lotti di terra; se invece sembrava loro malnato e deforme, lo spedivano a una voragine presso il Taigeto, chiamata Apotete, ovverosia Depositi, nella persuasione che quando uno non è stato dotato dalla natura subito fin dall'inizio degli elementi necessari per essere sani e robusti, non è vantaggioso né per lui né per la città di vivere. Perciò stesso le donne non lavavano le creaturine con acqua, ma con vino, quasi per provare la loro fibra. Si dice infatti che i bambini epilettici e gracili non resistono e sono colti da convulsioni sotto l'azione del vino, mentre a quelli sani esso tempra e rafforza la costituzione. Grande cura e abilità avevano pure le nutrici, che allevavano i bambini senza fasce, sì da lasciare libere di svilupparsi le membra e la figura, ed insegnavano loro ad essere sempre contenti del cibo e non schifiltosi, a non avere paura dell'oscurità, a non temere di restar soli, a non far mai il broncio o piagnucolare, come fanno i vili. Non per nulla anche molti forestieri compravano balie spartane per i loro figlioli. Ad esempio l'Amicla che allevò Alcibiade Ateniese si dice fosse una spartana. Però Pericle gli impose come precettore, stando a quanto dice Platone, un certo Zopiro, il quale era nulla più che uno schiavo, mentre Licurgo non avrebbe mai affidato a precettori comprati o stipendiati i figli degli Spartani; anzi neppure al padre permetteva di allevare ed educare il figlio a suo piacimento. Non appena i fanciulli avevano raggiunto l'età di sette anni, egli li prendeva a li irreggimentava tutti indistintamente in compagnie, ove erano sottoposti a un regolamento e a una nutrizione uguale a quella degli altri, e si abituavano a divertirsi e a studiare in comune. A capo di ogni compagnia poneva l'elemento che dimostrava d'avere maggior giudizio e arditezza nel combattere; gli altri guardavano a lui, facevano ciò che lui comandava e si sottomettevano alle sue punizioni, sì che l'educazione si risolveva in un esercizio di ubbidienza. Ai loro giochi assistevano gli anziani, che di solito provocavano delle finte battaglie e contese per scoprire senza incertezze, nella lotta, le possibilità che ciascuno aveva di diventare coraggioso e saldo sul campo di battaglia. A leggere e scrivere invece imparavano soltanto il minimo necessario. Il resto dell'educazione era rivolto tutto a renderli pronti all'ubbidienza, resistenti alla fatica e vittoriosi in guerra. Perciò col crescere dell'età le prove aumentavano: venivano rasati a zero, abituati a camminare a piedi scalzi e a giocare insieme quasi sempre nudi. Dall'età di dodici anni non portavano più la tunica e ricevevano un solo mantello all'anno. Avevano la pelle secca, perché non si lavavano né ungevano mai, tranne in certi giorni dell'anno, pochi, in cui erano concesse anche a loro tali delicatezze. Dormivano insieme, ognuno con la sua squadra e compagnia, su dei pagliericci che confezionavano essi stessi, spezzando con le sole mani, senza aiuto di coltello, le cime delle canne che crescono lungo l'Eurota. Durante l'inverno aggiungevano e mescolavano alle canne una qualità di cardi, che si chiamano licofoni e pare abbiano un certo potere calorifico.”
 
Plutarco, Vite parallele, Vita di Licurgo, 16, traduzione di C. Carena, Mondadori, Milano 1974.
 
 

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