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Esopo - Favole 1 -

26 ottobre 2009
Antichità
Le origini della favola si perdono nelle profondità di un remotissimo passato. Essa sin da subito s’incarna come manifestazione anonima di una saggezza collettiva. Acquista autonoma forma e dignità nell’insieme di brevi racconti che iniziano sotto il nome di Esopo.
 

 
ESOPO

 
Le origini della favola si perdono nelle profondità di un remotissimo passato. Essa sin da subito s’incarna come manifestazione anonima di una saggezza collettiva. Acquista autonoma forma e dignità nell’insieme di brevi racconti che iniziano sotto il nome di Esopo.


Esopo appare come una personalità leggendaria, anche se una tradizione biografica pretendeva di fissarne i connotati nella figura di uno schiavo di origine trace o frigia.
Il corpus delle favole esopiche giunto a noi comprende circa 500 componimenti, ed è l’esito di una lunga trasmissione, in cui sono confluite diverse raccolte. Nella fase iniziale di questo processo, peraltro, gli originali requisiti linguistici e stilistici hanno subìto gravi alterazioni. Di origine sicuramente secondaria sono i commenti moralistici aggiunti alla fine di ciascuna favola.
La favola esopica, infine, fonda una peculiarità: i personaggi, chiunque essi siano, svolgono un ruolo all’interno di una situazione. Essi non hanno un nome, sono una categoria: occupano spazi distinti e contrapposti come il bene e il male. Le loro avventure hanno quindi il sapore della realtà: le situazioni e il linguaggio trasmettono la quotidianità della vita e dell’esistenza reale.
Per questo motivo è bene che non si perda l'abitudine di ricorrere anche ad esse per trasmettere determinati messaggi alle persone di tutte le età.
Grazie ad una più attenta osservazione dei contesti ripresi si può percepire come da una tematica quale il richiamo alla responsabilità di sé stessi si passi coerentemente a parlare di quella della comunità in cui si vive.
Ecco sei favole che riprendono questo tema:
Il debitore Ateniese”, dove si sottolinea come un debitore sia sprofondato in una situazione da cui non riesce ad uscire e ricorre alla disonestà per tentare di farlo.
La capra e l'Asino”, dove la prima è invidiosa dell'asino perché questo, rendendosi più utile all'uomo, è maggiormente apprezzato. Quindi tenta di fargli commettere qualcosa di lesivo per sé.
La capra e il capraio”, il secondo per impulsività danneggia la prima e tenta di sfuggire all'ira del padrone convincendo la capra a non riferire niente.
La donnola e le galline”, la prima tenta di approfittare della malattia delle seconde per divorarle.
La volpe e il coccodrillo”, nella quale lui tenta di inventare delle glorie di cui non è meritevole; così anche ne “La volpe e la scimmia” dove a tentare di modificare la realtà a proprio piacimento è la scimmia.
In tutte queste fiabe vengono ripetuti gli stessi messaggi con l'aggiunta in ciascuna di esse di sfumature diverse.
Un invito è quello di soffermarsi a riflettere e ponderare le proprie scelte prima di cadere in errore.
A scelte sbagliate corrispondono conseguenze negative, infatti il 'debitore ateniese' arriva a contrarre un onere troppo elevato per potervi far fronte; il capraio paga il prezzo della propria irruenza nell'aver colpito la capra senza controllarsi; il coccodrillo si umilia da sé tentando di rimediare con la menzogna al fatto di non essersi meritato delle glorie, così come la scimmia.
Di qui si passa ad evidenziare quanto sbagliato sia tentare di far subìre agli altri i propri errori e responsabilità derivanti; così come il debitore ateniese tenta di vendere un maiale inventandone delle qualità per poter ottenere una cifra sufficiente a coprire il debito accumulato. Anche la capra con l'asino pecca di impenitenza non volendo rimediare ai propri errori e mostrandosi più utile all'uomo, ma ricorrendo al mezzo meno faticoso del fare attirare sventure sull'asino a proprio vantaggio.
È sbagliato anche tentare di nascondere le proprie colpe seppure sia più semplice che rimediarvi. Ma la verità viene sempre a galla, soprattutto se l'evidenza è innegabile. Così la capra (“La capra e il capraio”) dirà al capraio che il proprio corno rotto dal suo sasso non lo si può nascondere, è necessario che si assuma le proprie responsabilità sul gesto avventato.
Ne “La volpe e la scimmia” è molto chiaro anche l'invito a conoscere bene il passato, perché è uno dei mezzi più utili per non cadere negli stessi errori (concetto alieno nella scuola italiana, dove la storia ha più un senso di peso conoscitivo inutile e da smaltire velocemente), l'uomo deve imparare e non vantarsi dall'esperienza degli altri, altrimenti non spreca che tempo e fiato.
Ciò che va evitato è il circolo vizioso derivante dall'abitudine di cercare di far apparire la realtà in modo diverso, arrivando a non distinguere più la menzogna dalla verità. Una conseguenza può essere quella sopraddetta del ricercare negli altri le proprie colpe o approfittare delle risorse altrui per rimediare ai propri errori facilmente. Quindi da errore si ricade nell'errore senza via d'uscita.
Ma se da un lato è condannato il tentativo di volere i buoni frutti senza guadagnarne il valore, dall'altro viene lanciato l'invito ad essere consapevoli di ciò che si ha, perché è il solo modo per conservare i vantaggi ottenuti col valore. L'asino sbaglia a dare retta alla capra tentatrice che lo induce alla pigrizia, così seguendo i suoi consigli si rompe una gamba rischiando di perdere tutto ciò che aveva ottenuto con l'onesta fatica.
Il messaggio a chi è preposto ad educare è quello di non permettere che un bambino o un adulto si allontani dalla realtà. Essere coscienti e presenti nella vita è dunque un deterrente ad addentrarsi in circoli viziosi come quello sopra argomentato.
In tutte e sei le favole prese in esame viene dimostrato come il malvagio (la donnola che si traveste per ingannare le galline, approfittando del loro malessere per i propri comodi), il bugiardo (il coccodrillo e la scimmia che cercano di far proprie delle glorie altrui senza aver fatto nulla per meritarle), l'irresponsabile (il capraio che pretende sia di non ragionare prima delle azioni sia di sfuggirne le conseguenze), l'impenitente (la capra che induce al male chi è nel giusto piuttosto che sorreggere sé stessa), diventa vittima di ciò che erroneamente professa: il vanto senza merito, l'apparenza senza il contenuto, la gratuità della gloria, l'invidia egoistica, ecc.
Tutto si fonda su una concezione di equilibrio 'provvidenziale' della realtà. Con fermezza viene ribadito come chi è assennato e virtuoso ha la meglio sul malvagio e iniquo qualunque ne siano le trame; come chi è artefice di atti malvagi ne coglie inesorabilmente le amare conseguenze negative; o al contrario chi è nel giusto venga sempre assistito dalla buona sorte; ecc.
In chiusura si può affermare che, ad un'attenta lettura delle favole in questione, è presente in questi scritti l'invito a sforzarsi di badare all'interesse comune almeno quanto al proprio. Essere utili agli altri (come fa l'asino) comporta dei sacrifici ma anche dei vantaggi per tutti; non si deve condannare per pregiudizio o sfiducia generalizzata, ma neanche fare assopire la vigilante intelligenza (come le galline con la donnola, o le volpi con il coccodrillo e la scimmia).
Per considerarci assennati noi cittadini dovremmo saper applicare quanto detto alla vita quotidiana e trasmetterlo alle generazioni successive.

 

 

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